Tra aprile 2018 e marzo 2019, il consumo di integratori in Italia è aumentato del 2,5% (dati Federsalus), confermando una tendenza in atto da tempo per un mercato che, con 256 milioni di confezioni vendute, ha un valore di 3,5 miliardi di euro.

Gli integratori vengono acquistati per la maggior parte in farmacia (73% dei volumi nel primo trimestre 2019); seguono la grande distribuzione organizzata e le parafarmacie. Nel Decalogo per il corretto uso degli integratori alimentari, diretto al consumatore, il Ministero della Salute chiarisce che gli integratori sono «fonti concentrate di nutrienti o altre sostanze ad effetto “fisiologico” che non hanno una finalità di cura, prerogativa esclusiva dei farmaci, perché sono ideati e proposti per favorire nell’organismo il regolare svolgimento di specifiche funzioni, o la normalità di specifici parametri funzionali, o per ridurre i fattori di rischio di malattia».

Disponibili in forma predosata (capsule, opercoli, gocce, compresse, bustine), gli integratori sono assunti per soddisfare un aumentato fabbisogno o un apporto inadeguato di alcune sostanze, nutritive e non, in condizioni specifiche e per lo più temporanee. Il decalogo ministeriale è infatti molto chiaro: «per risultare sicuro e adatto alle specifiche esigenze individuali, (l’uso di integratori) deve avvenire in modo consapevole e informato sulla loro funzione e sulla valenza degli effetti svolti, senza entrare in contrasto con l’esigenza di salvaguardare abitudini alimentari e comportamenti corretti nell’ambito di uno stile di vita sano e attivo».

Nella famiglia degli integratori, quelli contenenti ingredienti botanici, cioè piante o estratti di piante (per brevità spesso citati con il termine inglese “botanicals”) sono tra i più apprezzati, in parte perché possono essere ricondotti a tradizioni d’uso consolidate, ma anche perché l’ottenimento dal mondo vegetale, cioè “dalla natura”, viene considerato sinonimo di “sicurezza d’uso”, a prescindere da qualunque ulteriore valutazione che, invece, è indispensabile.

Proprio questo aspetto, insieme alle molte altre sfaccettature della realtà italiana degli integratori contenenti botanicals, viene chiarito dalle parole di Patrizia Restani, Professore Ordinario di Chimica degli Alimenti, presso il Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell’Università di Milano.

Vi riportiamo alcune domande:

Iniziamo ad inquadrare i consumi italiani di integratori contenenti botanicals. Quali sono i dati e quali le fonti?

“Le risposte vengono dal Progetto europeo PlantLIBRA, dove LIBRA è l’acronimo di Levels of Intake, Benefit and Risk Assessment. L’indagine è stata condotta in sei Paesi europei e quattro città per ogni nazione. In Italia il campione di popolazione è stato selezionato tra Milano, Venezia, Roma e Catania, per un totale di 400 adulti (con età superiore ai 18 anni) equamente suddivisi per sesso, in maggioranza con un titolo di studio di scuola superiore (58,7%). Ciascun partecipante poteva segnalare fino a cinque prodotti consumati con una certa regolarità per alcuni mesi ogni anno o, addirittura, in modo continuativo. Estrapolando il dato dell’indagine, si può affermare che circa il 20% degli italiani è un consumatore abituale di integratori contenenti botanicals. Nell’analisi delle ragioni d’uso, la più citata è il supporto alla funzione digestiva, seguita dalla funzione tonico-energetica e da quella rilassante. La classifica si modifica lievemente considerando le singole città: per Milano il terzo posto va alla difesa del sistema immunitario, mentre a Venezia agli integratori per il controllo del peso. Se si guarda alle piante maggiormente presenti in questi integratori, l’aloe è al primo posto nel campione totale, ma non a Venezia, dove il primato va al tarassaco; il finocchio è la seconda pianta nel totale, ma non a Catania, che segnala la valeriana; infine, nel totale del campione italiano la terza pianta è proprio la valeriana, molto consumata a Catania, mentre a Milano il terzo posto va, pari merito, a passiflora e ginseng; a Venezia e Roma la terza posizione è assegnata invece al mirtillo. Per gli integratori contenenti botanicals, il canale preferenziale di vendita è l’erboristeria/parafarmacia (65%), seguita dalla farmacia (23,7%) e dal supermercato (7,9%). In Italia, il titolare di erboristeria/parafarmacia è anche il principale referente per informazioni in proposito, citato dal 34,8% del campione; probabilmente perché nel nostro Paese, nel quale è presente la laurea in Scienze erboristiche, la fiducia del consumatore verso questa figura professionale è maggiore rispetto a quanto accade all’estero, dove la fonte principale di informazioni è invece il passaparola tra amici e parenti. Il Progetto PlantLIBRA infine, ha permesso di raccogliere dati preziosi sugli effetti collaterali associati all’assunzione di integratori contenenti botanicals: un aspetto di primaria importanza, che verrà trattato in modo esteso più avanti.”

Qual è la legislazione di riferimento in Italia per gli integratori contenenti ingredienti botanici? E in Europa?

“In Italia, gli integratori alimentari contenenti botanicals rientrano nella legislazione alimentare, quindi la loro approvazione poggia prima di tutto sulla qualità della materia prima e sulla sicurezza, che devono essere garantite in primo luogo dal produttore e lungo tutta la filiera con gli stessi controlli di qualità richiesti a tutti gli alimenti. Attenzione: possono essere utilizzati soltanto i botanicals ammessi per questo uso.

Con il DM 2019, il Ministero della Salute ha incluso tra le piante ammesse negli integratori quelle derivanti dalla lista BELFRIT, stilata nel 2012 da Belgio, Francia e Italia, chiamando alla collaborazione un esperto per ogni Paese. Alcuni paesi Europei, possiamo citare Germania, Finlandia, Ungheria, propendono per l’inclusione dei botanicals nella categoria dei farmaci vegetali di uso tradizionale: il loro dossier di approvazione è semplificato e l’indagine tossicologica è sostituita dalla dimostrazione di sicurezza che si avvale dell’esperienza derivante dall’uso tradizionale”.

Qualità delle materie prime e sicurezza d’uso: perché è necessario ribadire il concetto che la “naturalità” di un integratore contenente botanicals non corrisponde automaticamente a sicurezza d’uso?

“L’origine vegetale non è sinonimo di sicurezza tout court: eppure l’equivoco permane. Invece, l’uso sicuro di un ingrediente contenente botanicals prevede passaggi rigorosi, a partire dalla qualità delle materie prime. Chi coltiva l’ingrediente vegetale deve infatti applicare le norme di Buone Pratiche Agricole (GAP); chi produce l’integratore contenente un botanical deve seguire le Buone Pratiche di Produzione, dalla verifica della materia prima alla garanzia della qualità finale, con il titolo (concentrazione) delle sostanze responsabili dell’effetto fisio-logico voluto (un esempio per tutti: nel caso dell’Aloe va segnalato il titolo in aloina) e l’assenza di contaminanti biologici o chimici. L’etichetta deve inoltre riportare il contenuto di molecole regolamentate, così da evitare assunzioni potenzialmente tossiche (un esempio per tutti: le ammine attive contenute negli estratti di arancio amaro), segnalando le dosi giornaliere sicure per il consumatore. Infine, anche il consumatore, come è già stato accennato, non è esente da responsabilità. L’utilizzo consapevole degli integratori, infatti, affianca, ma non può sostituire, un’alimentazione bilanciata e corretta. Se si acquistano integratori contenenti botanicals è importante farsi consigliare dal farmacista o dall’erborista e, in caso di terapia con farmaci tradizionali, consultare prima il medico.

Alcuni integratori contenenti botanicals possono infatti interagire in modo negativo con i farmaci: il pompelmo rallenta il metabolismo di alcuni di essi; l’iperico può inibire l’attività di alcuni farmaci; la liquirizia non va assunta da chi è in terapia antipertensiva, perché l’efficacia del farmaco potrebbe essere ridotta; la valeriana è in grado di potenziare l’azione di alcuni sedativi; il riso rosso fermentato aumenta il rischio di rabdomiolisi, cioè l’effetto collaterale più temuto delle statine, se assunto insieme a queste molecole per il controllo dell’ipercolesterolemia; il gingko non dovrebbe essere consumato se si è in terapia anticoagulante o antiaggregante piastrinica, a meno di un “via libera” da parte del proprio medico.”

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