Se ne parla da tempo, ma oggi, con 235 favorevoli, 2 contrari e nessuna astensione, il Senato ha definitivamente approvato la legge sulla cefalea cronica.

L’Italia diventa così il primo Paese in Europa ad adottare un provvedimento necessario per accendere i riflettori su questa patologia, perché chi ne soffre non si senta più abbandonato a se stesso.

Le legge: la cefalea cronica è una malattia sociale

La legge che riconosce la cefalea cronica come malattia sociale si compone di un solo articolo, che recita: «La cefalea primaria cronica, accertata da almeno un anno nel paziente mediante diagnosi effettuata da uno specialista del settore presso un centro accreditato per la diagnosi e la cura delle cefalee che ne attesti l’effetto invalidante, è riconosciuta come malattia sociale […] nelle seguenti forme: a) emicrania cronica e ad alta frequenza; b) cefalea cronica quotidiana con o senza uso eccessivo di farmaci analgesici; c) cefalea a grappolo cronica; d) emicrania parossistica cronica; e) cefalea nevralgiforme unilaterale di breve durata con arrossamento oculare e lacrimazione; f) emicrania continua».

Inoltre è previsto che, con decreto del Ministro della salute, saranno individuati progetti finalizzati a sperimentare metodi innovativi di presa in carico delle persone affette da cefalea.

Cefalea, una patologia invalidante

Non il semplice mal di testa, quel fastidio che si placa con il classico antidolorifico da banco. Quando parliamo di cefalea, infatti, ci riferiamo a una malattia invalidante che colpisce oltre sette milioni di italiani: donne in prevalenza, con maggiore incidenza nella fascia d’età 20-50.

Da qui i riflessi negativi, che non si limitano alla qualità della vita del soggetto che ne è affetto. Ma non è solo la sfera personale del paziente a essere coinvolta. Di rimbalzo, infatti, vi sono conseguenze negative anche in termini economici e produttivi derivanti dall’assenza dal lavoro, dalla inferiore produttività sociale, dai costi per i farmaci ed esami diagnostici.

Perché le forme croniche primarie – in cui la cefalea non è sintomo di un altro disturbo, ma malattia a sé – resistono perfino alle cure farmacologiche. C’è chi tenta la via degli anti-epilettici, chi degli antidepressivi, sia in forma orale che tramite punture quotidiane. Spesso, però, con pochi risultati. Negli ultimi anni, una speranza sembra arrivare da nuovi farmaci, i cosiddetti anticorpi monoclonali.

Ma ad oggi, nessun trattamento definitivo pone fine ai dolori lancinanti. E sono proprio questi i soggetti interessati dalla legge. La qualità della loro vita infatti non è solo limitata, ma spesso pregiudicata anche dal punto di vista lavorativo, familiare e sociale. Per tutta una serie di motivi, riconoscere a queste forme di mal di testa croniche la qualifica di malattia sociale era quanto mai necessario.

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