Una possibile revisione critica delle affermazioni rilasciate nel 2015 dallo IARC (International Agency for the Research on Cancer), nelle quali il consumo di carne rossa era stato classificato come “probabilmente cancerogeno” per l’essere umano e quello di carni lavorate “cancerogeno”, viene dalle conclusioni pubblicate all’inizio di ottobre su Annals of Internal Medicine, a firma di un gruppo di studiosi indipendenti. Esperti in metodologia della ricerca, ricercatori di base e translazionali, medici di famiglia, specialisti in medicina interna, i 14 componenti del team provengono da sette Paesi industrializzati, dove il consumo di carni rosse e lavorate è più consistente e nei quali, in parallelo, è anche più acceso il dibattito sulle ricadute a lungo termine per la salute.

A completare il panel, sono stati chiamati anche tre rappresentanti di organizzazioni con una preparazione esterna all’ambito medico e sanitario. Prima firma del lavoro è Bradley C. Jonhston, epidemiologo della Dalhousie University (Canada), ma affiliato anche alla McMaster University canadese: l’istituzione, per intenderci, dove Salim Yusuf ha fondato il Population Health Research Institute, in cui lavora Russell de Souza, epidemiologo nutrizionista, cofirmatario anche di questa indagine. L’obiettivo principale del gruppo di esperti, che hanno dato vita a una struttura denominata NutriRECS (Nutritional Recommendation s and accessible Evidence summaries Composed of Systematic reviews) è di produrre raccomandazioni nutrizionali solide e affidabili basate sulla revisione sistematica delle evidenze scientifiche disponibili, in considerazione dei comportamenti e delle preferenze dei pazienti e della popolazione generale.

L’analisi a firma del panel NutriRECS, infine, è stata condotta considerando esclusivamente gli studi che hanno valutato l’associazione tra consumi di carne e mantenimento del benessere/ salute dell’uomo. Esula quindi dai loro scopi l’approfondimento, oggi molto dibattuto, dell’impatto ambientale del consumo di carne rossa e di carni in generale.

 I quesiti in cerca di chiarimento

Gli Autori sono partiti dalla considerazione che le raccomandazioni nutrizionali che hanno suggerito di limitare il consumo di carne rossa e lavorata per proteggere la salute a lungo termine sono basate sui risultati di studi osservazionali. Dagli studi di questo tipo (peraltro, come è noto, largamente diffusi nella ricerca degli effetti di salute di alimenti e stili di vita) può emergere la presenza di un’associazione significativa sul piano statistico, ma non la definizione di rapporti di causa-effetto.
La stesura delle linee guida, secondo i ricercatori del NutriRECS, non può quindi prescindere da revisioni sistematiche rigorose della letteratura scientifica. Inoltre, i dati finora disponibili non hanno approfondito il rapporto tra regimi alimentari diversi, a maggiore o minore apporto di carni, e rischio di morbilità/ mortalità (totale, o per cause specifiche). I ricercatori NutriRECS sottolineano infine un aspetto generalmente sottovalutato dagli organismi internazionali: l’atteggiamento della popolazione generale, da cui dipende il grado di accettazione e applicazione di qualunque raccomandazione nutrizionale e di salute e, di conseguenza, la sua utilità. Due i quesiti a cui l’analisi sistematica dei dati ha cercato di rispondere, uno di carattere quantitativo e uno di tipo qualitativo:

1. Quali rischi di salute si mettono in luce, nella popolazione adulta, rispetto ai consumi di carni rosse e lavorate?

2. Quale valore viene attribuito dalla popolazione adulta al rapporto tra consumo di carni rosse e lavorate e salute e quali sono le preferenze/abitudini di consumo più diffuse?

 

Partendo da queste considerazioni, sono state condotte in parallelo quattro revisioni sistematiche, includendo gli studi osservazionali e le ricerche randomizzate (in realtà ben poche) che hanno valutato il possibile impatto delle carni rosse e lavorate nei confronti della salute cardiovascolare e del rischio oncologico. In tutti i casi sono stati selezionati e analizzati gli studi, randomizzati e di coorte, condotti su almeno 1000 soggetti, seguiti per un minimo di sei mesi, che riportassero i livelli di assunzione di carni rosse o lavorate, in termini di grammi quotidiani, o di porzioni settimanali, considerando differenza tra i gruppi di almeno 3 o più porzioni settimanali: per esempio 7 vs 4, oppure 4 vs una. Una quinta analisi è stata poi focalizzata sul valore attribuito dalla popolazione adulta al rapporto tra consumo di carni rosse e lavorate e salute, e alle preferenze di consumo. In questo caso sono state invece selezionate le ricerche basate su interviste a campioni rappresentativi della popolazione, su gruppi di discussione, su indagini mirate.

Il dettaglio dei risultati

Per quanto riguarda il rischio di mortalità per tutte le cause, la revisione di 61 lavori, condotti in 55 gruppi di popolazione, per un totale di 4 milioni di soggetti, conferma l’esistenza di un rapporto con il maggior consumo di carni, rosse e lavorate, ma i valori assoluti delle differenze rilevate sono risultati esigui; la qualità degli studi da cui sono stati ottenuti questi dati è stata inoltre classificata come bassa, o molto bassa, sulla base della metodologia GRADE. Il risultato è identico anche esaminando il rapporto con la mortalità per cause cardiometaboliche.

Sul versante della morbilità, stimata nell’arco di 10,8 anni, la diminuzione di tre porzioni a settimana del consumo di sola carne rossa comporterebbe una riduzione degli eventi cardio e cerebrovascolari (infarto miocardico, ictus, altre malattie cardiovascolari) e di nuovi casi di diabete di tipo 2 compresa tra 1 e 6 casi ogni mille persone; pari a 7 casi per mille sarebbe la riduzione della mortalità oncologica nell’arco della vita. Gli Autori ritengono che questi effetti siano in assoluto di ampiezza molto piccola (se non trascurabile); la qualità dell’evidenza non è inoltre valutata come soddisfacente. Altrettanto indefinita e qualitativamente bassa è l’evidenza della riduzione di eventi cardio e cerebrovascolari e di diabete di tipo 2 ottenibile in 10,8 anni consumando ogni settimana tre porzioni di carni lavorate in meno (tra 1 e 12 casi in meno ogni mille persone che riducano i propri consumi delle tre porzioni indicate). Risultati simili si ottengono considerando il rischio di mortalità per tumore nell’arco della vita, di incidenza di nuovi casi di tumore in sedi specifiche (mammella, esofago, colon-retto) e di mortalità per tumore prostatico (tra 1 e 8 casi in meno ogni mille persone). Nessuna significatività statistica, infine, emerge per l’incidenza di nuovi casi di tumore a carico di altre sedi, dal cavo orale allo stomaco, dal fegato al pancreas, dall’endometrio all’ovaio, o per la mortalità da carcinoma gastrico, pancreatico e colorettale.

 

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